Nel corso di un'intervista esclusiva rilasciata a Sky, il tecnico della Roma, José Mourinho, ha aperto il suo cuore sulle sfide personali che affronta nel mondo del calcio. Parlando del suo isolamento emotivo, Mourinho ha rivelato: "Quando vinci, hai difficoltà a camminare perché tutti stanno con te. Ma quando perdi, sei solo. Questa è la mia esperienza dopo più di 20 anni. A volte ho bisogno di rimanere da solo, di pensare da solo, anche se sono circondato da persone. Mi ritrovo immerso nei miei pensieri, isolato nel mio mondo. È un isolamento necessario per me".

Mourinho ha anche affrontato la critica riguardo alla sua franchezza, sottolineando: "Non sono un grande esempio di umiltà perché questo sono io. Non è una questione di essere umile, è semplicemente chi sono. Nel calcio, la libertà di espressione e di pensiero è fondamentale, ma a certi livelli, questa libertà è limitata. Tuttavia, nessuno può fermarmi nel dire quello che penso di me stesso".

In risposta alle domande sulla sua permanenza nel calcio di alto livello, Mourinho ha sfidato gli stereotipi: "Esiste un 'vecchio' che ha portato una squadra da zero alle finali europee e un 'giovane' che ha vinto solo due partite. Ma questa è la mia verità, e continuerò a dirlo senza timore. Non sono vincolato dalle opinioni degli altri".

Il mourinhismo e la scelta della Roma

Mourinho ha continuato: "Se esiste il mourinhismo? Anche l'anti mourinhismo. Specialmente a Roma, ci sono entrambe le fazioni. Il mourinhismo lo conoscono le persone che sanno cosa ho fatto. L'anti mourinhismo è cavalcato da gente felice in tutto il tempo in cui la Roma non vinceva una coppa, non aveva alcun tipo di successo europeo. Si divertono in radio e va bene. L'anti mourinhismo vende, il mourinhismo è un modo di stare nella vita più che nel calco. Lo dico perché trovo gente per strada, in ogni punto del mondo, che si identifica con me e con il mio modo di stare nella vita. Per me, comunque, la partita più importante è sempre la prossima. Il resto è il passato, è storia".

Mourinho si è poi soffermato sulla scelta di una piazza come la Roma: "Quando sono arrivato qui, non conoscevo la Roma. Ci ho giocato contro con l'Inter, mentre con il Porto ho giocato non contro la squadra più importante della città. Non conoscevo la Roma né come città di cuore calcistico, né la società AS Roma. Avevo allenato tre grandi squadre in Inghilterra, Manchester, Chelsea e Tottenham e volevo quindi andare fuori dall'Inghilterra. La Roma è arrivata con un discorso che mi è piaciuto, ed è stata la proprietà che mi ha fatto venire. Dopo, quando sono arrivato e ho imparato a conoscere il romanismo, ho imparato a conoscere tutti i loro dubbi, ho imparato a conoscere tutte le loro frustrazioni e ho cercato di entrarci dentro. Mi sono fatto tante domande, cui ho bisogno di rispondere con il tempo. Mi sono affezionato tanto al romanista. Mi piace il romanismo. Mi piace il romanista puro, mi piace il romanista della strada, che va la mattina a Trigoria solo per avere una foto. Mi piace la gente che segue la squadra ovunque. Quando arrivi in due finali europee e prendi la città con te, quando tu piangi di gioia con loro, tu diventi ancora più uno di loro. È ciò che sento adesso, è stato naturale. Quando sono in panchina e guardo alla destra all'Olimpico mi emoziono ancora. Quando guardo dietro di me non mi piace tanto, ma quando guardo alla mia destra mi fa venire i brividi, è gente che rimane con me, anche quando un giorno andrò via".

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